I dati relativi alle start-up iscritte all’apposito registro della Camera di Commercio confermano il trend di crescita: nell’ultima analisi pubblicata dal ministero dello Sviluppo Economico aggiornata al primo ottobre 2021 (e rilanciata in questi giorni da Banca Intesa San Paolo) circa 5.300 imprese, quasi il 38% del totale, sono attive nel settore della produzione di software, il settore che risulta di gran lunga il più rappresentato nelle 14.000 start-up innovative italiane.
Se a queste si aggiungono le start-up innovative attive nella produzione di beni elettronici (328), di macchinari (429) e i fornitori di servizi di telecomunicazioni (1.242), si arriva a fotografare una realtà di oltre 7.300 soggetti altamente innovativi che hanno iniziato la loro attività negli ultimi anni.
Circa un terzo delle nuove società di capitali, ovvero quelle costituite negli ultimi 5 anni, è iscritto al Registro delle start-up innovative, quota che sale al 45% per le società di software, nettamente superiore a quanto si riscontra per il complesso dell’economia italiana (3,7%).
Negli ultimi 20 anni intanto, in Italia si è osservato un trend crescente degli investimenti immateriali (spese in R&S, software e base dati) e in ICT (hardware informatico e apparecchiature per telecomunicazioni), evidenziando un ritmo di crescita più sostenuto rispetto al totale degli investimenti.
In particolare, nel 2020, nonostante la flessione imposta dalla crisi economica generata dalla pandemia, gli investimenti in ICT si sono posizionati su livelli superiori dell’8% rispetto al 2008 (+21,8% per gli investimenti immateriali) a fronte di un gap sul 2008 di oltre il 20% se consideriamo gli investimenti totali. Malgrado questi segnali di crescita, il confronto con i paesi dell’Area Euro evidenzia ancora un ritardo italiano. Secondo l’indice DESI (Digital Economy and Society Index) della Commissione Europea riferito al 2021, infatti, l’Italia si colloca al 20mo posto tra i 27 stati dell’UE, con un indice pari a 45,5, ben sotto la media europea (50,7).