In Turchia un mare di serre che può far gola alla IV Gamma italiana

C’è un altro importante “mar de plastico”, una distesa infinita di serre, ai confini dell’Europa che potrebbe rappresentare un potenziale polo produttivo di IV Gamma o di materia prima per le imprese italiane di settore schiacciate da costi e burocrazia. Si trova in Turchia, tra le province di Demre e Kumluca e ha un’estensione che, secondo una squadra di ricercatori dell’Università Çukurova, raggiunge i 772 chilometri quadrati. In pratica, si tratterebbe di un’area grande quanto l’intera megalopoli di New York che fa della Turchia il quarto Paese al mondo per la plasticoltura.

“In queste serre – spiega un esperto agronomo italiano che lavora molto anche all’estero – attualmente vengono messe a coltura prevalentemente delle orticole, pomodori, peperoni, cetrioli, e altro. Siamo, inoltre, ancora molto lontani dagli standard di produzione europea. Manca la mentalità, sono aziende iper frammentate, manca una cultura industriale legata all’Agricoltura 4.0 e soprattutto manca la tecnologia. Tra i problemi principali di questa zona, che produce per esportare il 90% di orticole in Russia, c’è la presenza di residui nel suolo e di qualità dell’acqua poiché le falde sono contaminate da quella salina”.

Per le imprese italiane, andare ad investire lì (acquistare serre, affittarle o trovare un socio turco affidabile comporterebbe spese importanti che, a costi europei, viaggerebbero intorno al milione di euro per ettaro se si considera il costo della costruzione di vasche di raccolta per il recupero delle acque piovane in inverno e le installazione di impianti di coltura fuori suolo, idroponica e aeroponica, viste le condizioni dei terreni. Tuttavia, questa potenzialità produttiva per le aziende italiane non va considerata definitivamente preclusa per una serie di ragioni.


“Esiste un fondo – spiega Rosario Rago (foto sopra), presidente dell’omonimo Gruppo di IV Gamma della Piana del Sele, che opera molto anche sul mercato dell’export – che si chiama SIMEST e serve per aiutare le PMI che offrono beni e servizi, ad internazionalizzarsi, proponendo finanziamenti anche a fondo perduto per il raggiungimento di questo obiettivo”.

Un fondo che, anche se non implica grandi stanziamenti, siamo sotto al milione di euro, prevede bandi erogati in attuazione del PNRR (l’ultimo con scadenza il 31 maggio scorso). Un investimento in Turchia, ferma restando la sua elevata arretratezza burocratica e amministrativa oltre ai problemi di corruzione e non adeguamento degli standard UE del sistema giudiziario, trova un “controcanto” non indifferente nella situazione economica e finanziaria della Turchia che ha una moneta deprezzata rispetto all’euro in un rapporto di uno a due, ossia: un euro vale circa due lire turche con un’inflazione che viaggia intorno all’80%.

La Turchia, pur essendo tra i cinque nuovi candidati all’ingresso in Unione Europea e che, per questo, in passato ha beneficiato anche di fondi europei per lo sviluppo rurale tramite la partnership con aziende dell’Unione, registra dei punti di attrito con l’UE. Innanzitutto quelli riguardanti le recenti azioni belligeranti nei confronti della Grecia e poi il fatto che, pur inviando armi all’Ucraina e condannando pubblicamente l’invasione russa, di fatto si è astenuta dall’allinearsi alle sanzioni europee contro la Russia . Un’astensione che le è valsa un salto in avanti importante nelle relazioni economiche e commerciali con Mosca.

“Attualmente le produzioni di IV Gamma in Turchia – precisa Rago – soprattutto di erbette, vengono fatte in Antalia e sono destinate al mercato russo. In un progetto di delocalizzazione e internazionalizzazione, andrebbe considerata inoltre la questione logistica. Per una materia prima di IV Gamma, i due giorni di transit time via nave che collegano la Turchia alle coste italiane potrebbero essere accettabili se si considerano come mercati di sbocco di quelle produzioni, in prima battuta quelli dell’Est. Una delle questioni principali da tenere in considerazione, è quella legata alle filiera italiana che implica tantissimi posti di lavoro”.

In questo senso, visto che le produzioni di IV Gamma sono ampiamente fuori dalla quadra economica, si potrebbe pensare, ad esempio a stagionalizzare e programmare al meglio la produzione di IV gamma in Italia. Spingendo magari di più su quella estiva, quando in Turchia non piove, e focalizzare quella invernale su altri tipi di colture, come ad esempio erbe aromatiche ed officinali destiate a mercati a più alto valore aggiunto come quello erboristico, cosmetico o nutraceutico (per gli integratori, ad esempio).

Sul fronte logistico, va detto che il rapporto appena presentato dalla Commissione Europea sulla situazione degli Stati candidati per l’ingresso, riferisce che “la Turchia è moderatamente preparata nella politica dei trasporti e moderatamente preparata nel settore dell’energia  “Sono proseguiti i progressi nella diffusione delle energie rinnovabili, nelle riforme del settore del gas naturale e nell’allineamento legislativo sulla sicurezza nucleare”.

La Turchia, ancora, è a buon punto per quanto riguarda le reti transeuropee e ha compiuto alcuni progressi, soprattutto per quanto riguarda le reti energetiche, grazie al buon funzionamento della rete di trasporto pubblico.

La Turchia deve affrontare sfide ambientali e climatiche critiche, sia in termini di mitigazione che di adattamento. È necessario elaborare e attuare politiche ambientali e climatiche più ambiziose e meglio coordinate.

Sempre secondo un’analisi della Commissione europea relativa ai Paesi candidati all’ingresso in Europa, l’agricoltura riveste un’importanza fondamentale per la Turchia, sia dal punto di vista sociale che economico. Circa la metà della superficie totale della Turchia è destinata all’agricoltura, una percentuale leggermente superiore alla media europea. L’adesione della Turchia andrebbe quindi ad aggiungere circa 39 milioni di ettari (+20%) alla superficie agricola totale dell’UE. Nel 2014 l’agricoltura dava lavoro al 21% della manodopera (a costi molto inferiori di quelli europei).

Secondo il censimento del 2011, in Turchia c’erano circa 3 milioni di aziende agricole (contro un totale di circa 12 milioni nell’UE), la maggior parte delle quali a conduzione familiare. Le aziende sono più piccole rispetto alla media dell’UE: 6 ettari, a fronte di una media europea di 13 ettari.

Mariangela Latella
maralate@gmail.com

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