La IV Gamma alla sfida degli imballaggi (e dell’export)

Il 2019 si prospetta un anno non facile per i produttori di IV Gamma, non solo per l’appesantimento del contributo CONAI sugli imballaggi in plastica, che in alcuni casi arriva anche a raddoppiare, e per la prossima approvazione della Direttiva UE anti-plastica usa e getta. Sono infatti in arrivo anche nuove norme sulla sicurezza alimentare nel Regno Unito e in Canada che potrebbero rendere più arduo l’export di prodotto fresh-cut made in Italy già messo a dura prova, nel primo caso, dalla fase transitoria del processo di Brexit.

“Il cambio di regole sul contributo CONAI – ci spiega Rosario Rago, presidente dell’omonimo gruppo salernitano specializzato nella produzione e nell’export di IV Gamma – è una cosa molto grave perché impatta significativamente sul settore, incidendo sull’aumento dei costi. Con la nuova classificazione delle fasce contributive, ad esempio, noi passeremo da un contributo di 234 euro ad uno di 264 euro a tonnellata. Stiamo parlando di costi importanti considerata l’enorme quantità di imballaggi che usiamo ogni anno. Si tratta di costi che da qualche parte dovranno pur ricadere e non sarà indolore”.

Uno spostamento in avanti della catena di valore si potrebbe tradurre, ad esempio, secondo gli esperti, in un aumento dei prezzi al consumatore anche del 10% ma il rischio che una parte dell’aggravio dei costi resti sul groppone dei produttori è alto, anche in considerazione del fatto che la GDO tende per sua natura a comprimere i prezzi e ad attuare promozioni.

“Oggi esiste un materiale alternativo ammesso dalle nuove regole anti-plastica – continua Rago – che è il PLA ma è più costoso e inevitabilmente farà lievitare i costi di produzione. Oggi i margini industriali della IV gamma viaggiano intorno al 5-7%, se questi margini verranno erosi il rischio è che molte aziende, specie le più piccole, possano chiudere”.

Nel caso dell’export la situazione si complica su due piazze significative per l’export agroalimentare made in Italy: il Regno Unito e il Canada. In entrambi i Paesi infatti, stanno cambiando le regole della sicurezza alimentare. Nel primo il nuovo regolamento dovrebbe entrare in vigore dal 2020 rottamando il precedente, dopo trent’anni di vigenza. Nel secondo caso, è già stato approvato il nuovo codice di sicurezza alimentare che imbriglia maggiormente l’import-export nelle maglie della burocrazia.

Il nuovo regolamento inglese sarà basato su una piattaforma digitale dove tutti gli operatori dovranno registrarsi per essere in contatto diretto con le autorità di sorveglianza, si inaspriranno, inoltre, i controlli con la logica di prevenire le contaminazioni piuttosto che difendersi da esse, dando maggiore risalto anche alla funzione dell’assicurazione dal rischio.

In Canada, infine, si legge in una nota dell’ICE di Montreal: “Il nuovo Safe Food for Canadians (SFCR) è entrato in vigore dal 15 gennaio 2019 con la previsione di una fase graduale di attuazione per alcuni aspetti di 12-30 mesi, a seconda del prodotto alimentare, del tipo di attività e della dimensione dell’azienda. I punti chiave della nuova normativa prevedono: licenze di importazione, esportazione e commercializzazione; misure di controlli preventivi basati sul rischio; tracciabilità dei prodotti. Gli importatori canadesi dovranno quindi procurarsi una licenza d’importazione, dovranno tenere un registro sulla tracciabilità dei prodotti e elaborare dei programmi di controllo preventivo (PCPs). Per ottemperare a questi ultimi due punti  e registrare le informazioni necessarie all’elaborazione del PCP, l’importatore dovrà avvalersi della collaborazione del fornitore estero. Sulla scia del SFCR sono stati apportati anche degli emendamenti importanti in materia di etichettatura al Food and Drug Regulations. I cambiamenti, che saranno obbligatori dal 14 dicembre del 2021 dopo un periodo di transizione di 5 anni, riguardano la la tabella dei valori nutrizionali, la lista degli ingredienti e l’identificazione dei coloranti alimentari”.

Mariangela Latella

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