Colture fuori suolo, gli agronomi chiedono modifiche al disegno di legge

Prosegue l’iter della proposta di legge 1258 che si pone come prima disciplina normativa per le colture fuori suolo, presentata alla Camera dei Deputati nell’ottobre 2018.

All’ultima audizione in Commissione Agricoltura, tenutasi alla Camera la scorsa settimana, l’agronomo Marco Del Grosso, vicepresidente dell’Ordine di Salerno e rappresentante del CONAF, il Consiglio dell’Ordine Nazionale degli Agronomi e dei Forestali, ha proposto alcune modifiche al testo di legge delega al governo, che porta la firma dei deputati Cillis, Cadeddu, Cassese, Cimino, Daga, Del Sesto, Gagnarli, Gallinella, L’Abbate, Lombardo, Maglione, Alberto Manca, Maraia, Parentela, Pignatone e Romaniello.

“È fondamentale che la norma in questione – ha precisato Del Grosso – preveda il ciclo chiuso per le colture idroponiche. Ciò perché un fuori suolo che sia rispettoso dell’ambiente deve escludere la possibilità che l’acqua piena di nitrati che si dà alle piante poste nel substrato possa finire nelle falde ma debba essere recuperata, come oggi si fa in Olanda, trattata, filtrata e reimmessa nel ciclo produttivo. La norma in questione, in sostanza dovrebbe escludere il ciclo aperto”.

Del Grosso ha fatto un distinguo tra substrati naturali come quelli a base di fibra di cocco, molto usati in Sicilia, che dopo i circa tre anni canonici di utilizzo possono essere tranquillamente rilasciati sul terreno perché biodegradabili. Altra cosa sono i substrati in lana di roccia, molto usati nelle serre olandesi. “In questo caso – ha detto Del Grosso -, si tratta di materiale che deve essere smaltito come rifiuto speciale”.

Traballa l’ipotesi, prevista nel disegno di legge, di potere utilizzare capannoni dismessi per evitare consumo di suolo nella creazione di impianti nuovi. Ciò perché le colture hanno bisogno di luce e l’illuminazione di un capannone ai fini della coltivazione di piante avrebbe un costo eccessivo se si pensa che produrre – ad esempio – basilico in vertical farming con illuminazione LED ha un costo per ettaro che può arrivare ai 300mila euro.

“Un’operazione del genere potrebbe essere sostenibile solo per coltivazioni ad alto valore aggiunto – afferma Del Grosso – come, ad esempio, le microgreen. Per questo genere di prodotti gli chef sono disposti a pagare anche 10 euro per ogni vaschetta pur di avere verdure fresche appena colte in cucina. Ma non è economicamente sostenibile per le colture di massa come ad esempio il pomodoro”.

Niet degli agronomi, infine, sulla possibilità che l’allevamento di pesci in coltura acquaponica (che prevede cioè che gli animali vengano nutriti con gli scarti vegetali della coltivazione delle piante sospese nella stessa soluzione liquida) possa essere equiparata al biologico. “C’è innanzitutto un regolamento europeo che lo proibisce – ha precisato Del Grosso nel corso dell’audizione -, non si può coltivare fuori suolo e fare bio. Sono due concetti in antitesi a meno che non si separino le due cose”. Fuori suolo, infatti, non significa automaticamente residuo zero perché pur eliminando i trattamenti legati alla sterilizzazione del suolo, servono sempre fitofarmaci per proteggere le piante dagli attacchi, ad esempio, dei parassiti e di altiri patogeni che possono aggredire le colture. (m.l.)

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