I particolari che emergono dal processo in corso al Tribunale di Bergamo sembrano essere tratti da un libro di Saviano. Minacce, estorsione di stampo ‘ndranghetista e ritorsioni, parole in codice e allusioni: le intercettazioni di quanto avvenuto tra la fine del 2015 e la prima metà del 2016 a seguito dell’incendio di 15 Tir refrigerati per il trasporto di prodotti di IV Gamma disegnano un quadro complesso e articolato, in cui tutti sembrano esserne usciti sconfitti.
Tutto è iniziato con il rogo, doloso, di una quindicina di automezzi nella notte del 6 dicembre 2015 alla PPB Trasporti, un’azienda specializzata nelle consegne di prodotti ortofrutticoli di IV Gamma, di proprietà del 55enne di Grassobbio Antonio Settembrini.
Secondo il pubblico ministero di Bergamo Emanuele Marchisio e Claudia Moregola della Procura Distrettuale, dietro all’incendio c’è un’estorsione di stampo ‘ndranghetista per arginare l’avanzata di Settembrini, commissionata da Giuseppe Papaleo, titolare di una società nello stesso settore, la Mabero di Bolgare.
Inizialmente le due aziende svolgevano attività di trasporto in regime di concorrenza per conto di una terza società operante nel settore ortofrutticolo, la SAB Ortofrutta di Telgate. Quest’ultima nel gennaio del 2016 aveva tuttavia deciso di ridefinire i propri rapporti commerciali affidando l’intera gestione del trasporto a Ppb Trasporti. Una decisione non certo accettata di buon grado da Papaleo che ne commissionò l’incendio dei mezzi.
Ed è a questo punto che lo scenario si complica ulteriormente. Se infatti la parte offesa Settembrini è stato anch’egli imputato in abbreviato a Brescia, perché dopo quell’episodio avrebbe arruolato il pluripregiudicato calabrese Carmelo Caminiti per vendicarsi, dall’altro canto le cose non sono andate come sperava Papaleo.
Dopo quella notte, infatti, “i fiori non sono stati consegnati”, è quanto intercettato dal nucleo investigativo dei Carabinieri di Bergamo il 20 luglio 2016 in un parcheggio di Trezzo sull’Adda. È lo sfogo di Paolo Giovanni Giordano, detto Gianpaolo, a Rosario Salvatore Iuliano.
Gianpaolo è in missione per conto di Vincenzo Iaria, colui che per gli inquirenti avrebbe reclutato Mauro Cocca e Giovanni Condò considerati, insieme a Domenico Lombardo, gli esecutori materiali del rogo alla Ppb Trasporti.
Quella citazione sui fiori non consegnati, secondo il maresciallo capo Carlo Airoldi che ha seguito le indagini, è un riferimento al linguaggio in codice della ‘ndrangheta per indicare i soldi non versati da Papaleo per quell’agguato e la mancata copertura ai protagonisti, che “sono stati mandati allo sbaraglio”. Gianpaolo Giordano poi di fronte a Iuliano rincara la dose e aggiunge che “Papaleo non sta filando dritto”.
Dopo quel colloquio, spiega il maresciallo Airoldi, i due vanno insieme a Reggio Emilia per parlarne a Salvatore Turrà, pluripregiudicato di Crotone, agli arresti domiciliari. I tre parlano di come la ‘ndrangheta non sia più quella di una volta. E tirano in ballo anche Gaetano Fortunio, considerato membro della cosca dei Piromalli di Gioia Tauro, aggiungendo che “dovrebbe intervenire per risolvere le cose”.
Come poi si sia ulteriormente evoluta la questione non è ancora dato saperlo; gli sviluppi verranno resi noti via via con il proseguire del processo. Tuttavia un dettaglio sembra certo: incalzato dalla difesa, il maresciallo Airoldi ha ammesso che dalle indagini non sono emersi agganci dello stesso Papaleo con ndranghetisti.
(Fonte: Bergamo News)