“La legge 69/2021 che, fra l’altro, apre le porte della IV Gamma al vertical farming, rischia però di fare sparire dal mercato i produttori tradizionali di IV Gamma”.
Così Felice Poli (nella foto), presidente di UNAPROA e dirigente di Coldiretti Brescia, punta il dito contro la normativa introdotta dall’articolo 39 del decreto Sostegni, convertito in legge lo scorso maggio, che disciplina per la prima volta, il vertical farming equiparandolo, in sostanza alla IV Gamma.
Un’intervista fiume, concessa in esclusiva a Fresh Cut News, quella in cui Poli, che è anche presidente dell’OP Sole e Rugiada, fornitore di La Linea Verde, mette in chiaro alcuni punti fondamentali per il comparto di IV Gamma che trova una rappresenza radicata dentro Coldiretti, partner di UNAPROA, poiché ha tra i suoi soci le due principali OP del settore, Sole e Rugiada e Oasi, che conferisce a Bonduelle, le quali insieme rappresentano il 60% del mercato.
“Unaproa, UIF, ossia Unione Italiana Food, e Coldiretti sono allineati su questo e altri punti di cui vorrei parlarle”, premette Poli.
“Innanzitutto, segnalo che la legge sul vertical farming, così come formulata non permette agli operatori tradizionali, quelli cioè che operano sulla base della normativa vigente di competere ad armi pari, posto che nel processo produttivo disciplinato per il settore, sono stati definiti standard precisi e rigorosi soprattutto sui processi di lavaggio e asciugatura, proprio per garantire il massimo della food safety, che non ci sono nella produzioni di vertical farming”.
– È una battaglia tra tradizione e innovazione?
“Assolutamente no. Noi non siamo assolutamente contro il vertical farming. Anzi abbiamo chiesto al tavolo interministeriale che si è tenuto mercoledì scorso di introdurre, nella riformanda legge sulla IV Gamma, un capitolo dedicato al vertical farming. Sono due metodi di produzione completamente diversi e non ha senso paragonarli. Si rischia di prendere cantonate e soprattutto di creare confusione nel consumatore che invece ha diritto di sapere quel che mangia”.
– In che modo?
“Basterebbe chiamare le cose con il loro nome e specificare in etichetta, ad esempio, che il prodotto da vertical farming non è lavato. Non basta scrivere semplicemente prodotto in ambiente asettico, ma, in questo contesto di equiparazione, per par condicio, bisognerebbe sottoporre anche le aziende di vertical farming agli obblighi microbiologici stringenti che vigono per le aziende di IV Gamma”.
– Quando ne avete discusso al tavolo interministeriale, erano presenti dei rappresentanti del settore vertical farming?
“No, ma c’era Confagricoltura a cui aderiscono buona parte delle imprese di questo settore che pur essendo ancora una nicchia, sta crescendo esponenzialmente. Peraltro segnalo che la legge sul vertical farming, il famoso art. 39, è stata rifiutata per ben due volte dalla Commissione agricoltura del Senato ed è entrata in discussione in Parlamento, solo dopo l’ok della Commissione Bilancio e Finanze”.
– Questo perché dietro questo settore ci sono grandi fondi di investimento che fanno lobby?
“C’è chi lo pensa ma personalmente non sento di potere affermare una cosa del genere. Dico solo che bisogna competere tutti ad armi pari. Il vertical farming ha un senso quando si produce, ad esempio, nel deserto, in posti dove il clima è particolarmente avverso o nelle megalopoli. Ma mettere degli impianti dove ci sono già dei poli produttivi è una cosa che va fatta con criterio. Abbiamo segnalato questo GAP nell’impianto normativo al MIPAAF e abbiamo chiesto di costituire un tavolo comune per potere lavorare contemporaneamente alla riforma della IV Gamma in cui la disciplina del vertical farming troverebbe il giusto spazio. Confidiamo di ricevere una risposta dopo la pausa estiva”.
– Cambiamo argomento. Com’è andata l’erogazione del fondo che il governo ha stanziato per sostenere le aziende colpite dalla crisi scatenata dal Covid?
“Fino ad ora, dei 20 milioni previsti, ne sono stati erogati 13,5 milioni. La situazione è ferma così da aprile. Da allora non è stato più erogato nulla”.
– Mancano all’appello 6,5 milioni di euro. Come mai?
“Sì. E sono ancora 34 le aziende che devono essere rifuse”.
– Come mai?
“Perché nel frattempo è cambiata la normativa. La soglia minima per le aziende agricole è stata innalzata da 100 mila euro a 225 mila e per le OP da 800 mila a 1,8 milioni. Due settimane fa abbiamo fatto una richiesta ufficiale al MIPAAF che ci ha convocati per spiegare i motivi di queste lungaggini. Ci vogliono i tempi tecnici per aggiornare le graduatorie. Si ipotizza che per ottobre si possa sbloccare la situazione. Abbiamo anche chiesto al MIPAAF, di concerto con le Regioni, la proroga per la presentazione dei piani operativi dal 30 settembre al 20 ottobre di modo che non si accavallino con le scadenze delle attività di controllo delle Regioni sui piani operativi dell’anno precedente. Chiediamo, inoltre, che questa deroga diventi una regola per tutti gli anni e non solo per questo. Peraltro sui piani operativi abbiamo anche fatto un’ulteriore richiesta”.
– Quale?
“Che la spesa delle OP sui fondi operativi passi dal 100% al 70% di modo da potere compensare in parte le perdite e le molte spese sostenute nel 2020, anche per le gelate e per l’incremento dei costi delle materie prime”.
– Che cosa si prevede per la plastic tax?
“L’Europa dovrebbe darci una proroga. È un dato di fatto che allo stato dell’arte non esista un’alternativa alla plastica per il settore di IV Gamma che nelle confezioni tradizionali vede uno dei principali presidi della food safety. Non siamo contro la plastic tax ma chiediamo solo tempo per potere sviluppare alternative altrettanto valide. In Francia lo hanno richiesto e ottenuto”.
– Un commento sui lavori del PNRR.
“Chiediamo di avere un ruolo strategico. Vorremmo avere voce in capitolo sugli investimenti, sulla gestione della logistica dei freschissimi ad esempio portando avanti la richiesta di Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, di potere usare la TAV anche per il trasporto di freschi e freschissimi”.
– La richiesta è legata al fatto che mancano autotrasportatori?
“La mancanza di manodopera in agricoltura è un problema ormai noto da anni. Non solo nel settore della logistica. Per questo nel PNRR servirebbe accelerare anche sul fronte dell’agricoltura 4.0 ossia su automazione, meccanizzazione e robotizzazione del settore. Infine, sempre nel quadro del PNRR, vorremmo potere rivedere la gestione dei fondi PSR. Premiando, in fase di assegnazione, quelle aziende che si aggregano, ad esempio, nelle OP”.
– Ma questo svantaggerebbe il Sud Italia che è notoriamente meno aggregato.
“Potrebbe essere una spinta all’aggregazione che si potrebbe ottenere rimettendo in pista l’aiuto finanziario nazionale di cui, oggi, beneficiano solo tre regioni, Liguria, Val d’Aosta e Sardegna. Oltre a questo, penso che per portare respiro alle aziende agricole, serva potere cumulare il credito di imposta con altri strumenti finanziari come i piani operativi e i PSR”.
– Questo discorso si sposta sul piano europeo trattandosi di programmi sovvenzionati dell’Unione.
“Il MiSE, sollecitato dai produttori, ha inoltrato la richiesta a Bruxelles ma fino ad ora non c’è stata una risposta. Intanto la base preme, sotto la stretta delle difficoltà economiche causate dal Covid. Alcuni agricoltori hanno già interpellato l’Agenzia delle Entrate che ha risposto lo scorso 23 luglio con una circolare che ammette la cumulabilità, in attesa di una pronuncia europea che pensiamo possa arrivare entro fine anno. Tenga presente che il problema è numericamente rilevante perché in caso di risposta affermativa, solo in Lombardia ne potrebbero beneficiare il 50% delle OP e penso che la percentuale possa essere traslabile su scala nazionale”.
Mariangela Latella