Food delivery, c’è futuro? Si scatena il dibattito

Nello scorso numero di Fresh Cut News abbiamo dato conto della chiusura di due importanti realtà statunitensi del food delivery e del commento perentorio dall’Ad di Decò Mario Gasbarrino che ha fatto sua una citazione significativa: “Il peggior modello di business mai creato è stato la consegna rapida di generi alimentari”.

L’articolo ha avuto molto successo in termini di letture e, una volta condiviso sulla nostra pagina Linkedin, ha innescato un interessante dibattito attorno alla domanda, implicita, se per il Quick commerce ci sia futuro, e quale. Non solo negli USA, ovviamente, ma anche in Italia.

Per qualcuno il problema è strutturale: “Non è che è fallita l’idea, ma come è applicata”, scrive il consulente Antonio Miele. “Si può consegnare il food ma alle giuste condizioni e dentro un progetto di più ampio respiro“. Un concetto che trova d’accordo Gasbarrino: “Esatto. L’online ormai è una realtà anche nel food”.

Approfondita l’analisi di Gianluca A. titolare, presidente e CEO di Evol USA Inc. Italian Food Import & Distribution, che scrive dagli States: “Questi modelli di business consumano grandi energie finanziarie e perciò basta poco per crollare, negli USA”. E cita alcuni fattori: “Inflazione all’8%, costi della logistica a livelli mai visti, difficoltà a reperire manodopera, origine dei capitali di investimento, insostenibilità con bassissimo profitto”.

“Qui negli USA di fatto – aggiunge – non abbiamo più nessuna importante restrizione da pandemia e, al netto del percepito dall’Italia, sempre più persone stanno tornando a una normalità quotidiana e riprendono abitudini quasi dimenticate negli ultimi due anni. Se il core business era solo basato sulla stanzialità degli acquirenti senza realmente sviluppare una diversificazione di acquisto rispetto all’offerta di un supermercato, per esempio, ne vedremo molte altre cadere”.

E Piero Rossitti, fondatore e consulente esecutivo di Numeripriminetwork, afferma che “finché si continuerà a guardare la filiera a pezzi non ci sarà soluzione: il fast delivery deve essere il completamento di un attività che si fondi su fiducia, gentilezza, convenienza, competenza, reputazione. Concetti distanti per diversi addetti ai lavori, fermi su sconti, premi di fine anno e listing fee…”.

“Credo sia importante capire quale/i variabile/i del modello modificare, ma non é tutto da buttare via”, il commento di Stefano Ghidoni, fondatore e CEO di Trans Alp Food. “Cosa si potrebbe cambiare? Il lead time di delivery passando da 15 a 30 minuti? Il modello che deve essere ibrido e non stand alone? L’ampiezza dell’offerta? Il servizio fast delivery solo su certi articoli? La consegna gratuita solo per abbonati/fedeli? Se fossi un retailer classico un esperimento in grandi città lo farei”.

Più tranchant Massimo Scodavolpe, consulente del settore ortofrutta: il suo parere è che tutto sia ciclico. “Torneremo a comperare al negozio di vicinato e farci da mangiare a casa da soli. Le avvisaglie sono la flessione dei centri commerciali, i cui fatturati sono momentaneamente confluiti nelle aziende di delivery. Ma è una moda che decadrà“.

Antonio Russolillo, amministratore unico di La Russolillo (conserve artigianali) racconta la propria esperienza legata all’e-commerce: “Ho il negozio online da 6 anni, in continua espansione e spiego al pubblico che non posso applicare i prezzi dei miei stessi prodotti a scaffale anche se di prima mano. Un carrello di 50 euro di spesa prodotti poveri come i pomodori con spedizione gratuita, ha 27 euro di voce spedizione+imballaggio+mano d’opera, 15 euro di prodotto e tolto il marketing (sponsorizzate google/social+gestione webidoo), forse 2 euro di margine. Prima o poi crollerà il sistema, se si ostinano a non far pagare il servizio”.

Mirko Aldinucci
mirko.aldinucci@freshcutnews.it

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