Vertical farming tra realismo e immaginazione ai Georgofili: “Ecco dove e come crescerà”

di Elena Consonni

C’è chi sostiene che il vertical farming sia destinato a sfamare un mondo in costante crescita demografica; chi invece ritiene che questa modalità di coltura non sia sostenibile. Dove sta la verità?

Il tema è stato dibattuto in una giornata di studio dal titolo “Quale futuro per le vertical farms?” che si è svolta il 30 maggio a Firenze, presso l’Accademia dei Georgofili. L’incontro è stato organizzato dalla Sezione Centro-Ovest dell’Accademia dei Georgofili e dal Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-alimentari dell’Università di Pisa.

Che il futuro del vertical farming sia incerto è emerso chiaramente lo scorso anno. Se, infatti, negli ultimi 5 anni gli investimenti mondiali nel novel farming sono passati, secondo AgFunder, da poco meno di 1 miliardo a circa 2,85 miliardi di dollari, nel 2023 alcuni importanti operatori nel mondo hanno chiuso i battenti, soprattutto a causa del rialzo dei costi energetici, una voce di costo che incide notevolmente sui bilanci delle società.

Data la portata degli investimenti, per ragionare sul futuro di questa tecnica di coltivazione è necessario capire come essa si inserisca nelle tendenze globali. Ha affrontato il tema Gianluca Brunori (nel riquadro della foto di apertura), dell’Accademia dei Georgofili, professore Ordinario di Economia Agraria presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa. 

“Una previsione del GlobalNewswire – ha spiegato – prevede una crescita del 35% del mercato globale del vertical farming tra il 2022 e il 2032 (nel grafico sopra, ndr). Una crescita spiegata anche da una base di partenza bassa. I Paesi che ne saranno maggiormente coinvolti sono la Cina, il Canada, la Germania, in seconda battuta il Giappone. Nel settore si muovono grossi investimenti perché si sta scommettendo, a livello globale, sul comparto. Di contro l’agricoltura verticale è fortemente energivora e quando un’impresa dipende fortemente da un fattore di produzione, se i costi aumentano la gestione diventa più complessa”.  

Se questo è il contesto, alcune tendenze a livello globale potrebbero favorire il consolidamento del vertical farming. A livello politico, per esempio, dopo la corsa verso la globalizzazione ora si registra una tendenza alla deglobalizzazione. “A seguito della pandemia e della guerra in Ucraina, che hanno portato a una forte tensione sui prezzi dellle materie prime – ha ricordato Brunori – si è iniziato a parlare di temi come l’autonomia strategica dell’Europa. In quest’ottica, il km 0 non è più solo fattore ambientale, ma anche strategico. L’accorciamento della filiera diventa un elemento per la sicurezza alimentare urbana. Inoltre, da tempo in UE si discute di una legge sulla rinaturalizzazione degli ambienti. Se questa visione passasse e fosse disponibile meno terra per le attività economiche ed agricole, bisognerebbe spingere su soluzioni che riducono il consumo di suolo. Il vertical farming può essere la risposta ad entrambe queste problematiche, avvicinando la produzione agricola ai punti di consumo e ottimizzando l’uso di terreno”

A livello sociale, lo stato attuale del mercato testimonia che il timore che i vegetali prodotti con questa tecnologia fossero percepiti come artificiali è infondato. “Le imprese – ha sottolineato – sono state brave a qualificarsi come sostenibili. Il ridotto consumo di acqua e l’assenza di pesticidi vengono percepiti come un plus ambientale”.

Va  detto, però, che i consumi di verdure da vertical farming vanno di pari passo con l’aumento dei reddito “Per ora – ha rimarcato – siamo su nicchie di alto valore aggiunto, destinate a un pubblico che può permettersi di pagare qualcosa in più rispetto a un prodotto da agricoltura tradizionale”.

Da un punto di vista tecnologico, Brunori ha enfatizzato l’importanza della digitalizzazione della gestione agricola in questo ambito. “Le tecnologie digitali – ha spiegato – consentono di controllare e ottimizzare i processi e ci sono ancora ampi margini di miglioramento. Questo aspetto rappresenta un potenziale di crescita, ma anche di forte dipendenza da questi mezzi”.

Infine, ci sono i fattori ecologici. “Il cambiamento climatico – ha sottolineato – può portare all’aumento di eventi climatici estremi. Poiché l’ambiente in cui avviene è facilmente controllabili, l’agricoltura verticale consente di ridurre il rischio derivante da questi eventi. Per esempio, in condizioni di siccità, la riduzione dei consumi di acqua e la possibilità di recuperarla giocano a favore del vertical farming; in caso di contaminazione del suolo, operare in ambienti artificiali consente di coltivare comunque”.  

Date tutte queste promesse Brunori è molto attento ai possibili futuri sviluppi: “Anche se non può sostituire l’agricoltura in pieno campo – ha concluso – sicuramente crescerà dove è minore il costo dell’energia e la disponibilità di suolo. Il potenziale di crescita è legato allo sviluppo tecnologico più di altre forme agricole. Un dato interessante sarà il rapporto tra vertical farming e sviluppo urbano. Per esempio, se già sono stati costruiti impianti all’interno di supermercati, sarà possibile installarli nei condomini? Certo si tratta di ripensare gli standard costruttivi e questa forma di coltivazione diventerebbe parte del ridisegno dei sistemi urbani. Ci vuole realismo, ma anche capacità di immaginare scenari futuri diversi da quelli di oggi”. 

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