La refezione scolastica riparte con il problema del pasto mono-porzione

Il settore mense scolastiche è in cerca di soluzioni per la ripartenza anche perché le nuove linee guida imposte dal MIUR rendono la pausa pranzo negli istituti ancora un rebus. Se passerà la linea del lunch box per tutti (ossia pranzo ognuno nel proprio banco), lieviteranno i costi a carico dei Comuni di almeno il 20% rispetto ai 6 euro attuali spesi per ogni pasto. Questo si potrebbe tradurre in un aumento di spesa annua per le famiglie che va da 120 a 200 euro, in base alle regioni, dato che la voce mensa scolastica grava sul bilancio famigliare per almeno 600 euro ma può arrivare a mille euro in certe aree del Nord.

Direttamente interessato da questa grande incognita, è il settore della IV Gamma che rifornisce le strutture ristorative anche perché, le soluzioni che vanno per la maggiore, sono quelle dei pranzi mono-porzione o piatti tripartiti (lunch box), indicati dal Ministero per quelle scuole in cui non sarà possibile mantenere il distanziamento. Questa soluzione è considerata economicamente e ambientalmente insostenibile dalla maggior parte dei Comuni ma è già stata adottata da molti di essi come ad esempio il Comune di Scandicci in Toscana, quello di San Miniato e di San Benedetto del Tronto nelle Marche, e ancora, i Comuni del Friuli Venezia Giulia che in estate avevano rivolto una richiesta di chiarimento al MIUR, da questo girata poi al Comitato tecnico scientifico. La risposta è stata affermativa ma solo per le scuole che non possono garantire il distanziamento.

La criticità della soluzione ‘meal kit’ dentro il lunch box (una sorta di isolamento del banco con pannelli di plexiglass) è che i centri cottura e le mense non sono attrezzati per confezionarli. Il Comune di Firenze teme un calo dei coperti che potrebbe incidere sui conti dell’ente. Calo che peraltro pare preannunciato anche in ragione della sentenza del TAR Lazio dello scorso luglio, che ha riaffermato il diritto degli alunni di portarsi il cibo da casa.

In realtà non tutti i produttori di IV Gamma che lavoravano con le mense sono così contenti della riapertura delle scuole né la vedono come la panacea dei danni creati dal lockdown. Molti, come ad esempio Lavarini Frutta di Verona, che riforniva centri di cottura per le scuole, dopo la batosta pandemica stanno cercando nuovi canali di vendita come la GDO, l’horeca o il contoterzismo, in attesa di capire come evolverà la situazione.

“Adesso siamo in fase di ristrutturazione – spiega uno dei due titolari dell’azienda veronese, Federico Dal Pezzo -, stiamo alla finestra a vedere cosa succede. Non abbiamo ancora capito se continuare con le mense sia conveniente. Le idee non sembrano chiare mentre noi dobbiamo andare avanti e cerchiamo alternative concrete sul mercato. Penso, comunque, che i prezzi dei prodotti destinati alle mense non saliranno perché significherebbe buttarsi il bastone tra le gambe da soli, dopo tanti mesi di chiusura. Né, penso, abbia senso, per lo stesso motivo, che possa scatenarsi una guerra al sottocosto. Quelli che avevano un portafoglio clienti ripartiranno da dove erano rimasti. Altri, come noi, stanno cercando di spostare la loro attenzione verso altri settori”.

All’Aquila, nei giorni scorsi, il Comune ha terminato i sopralluoghi nelle scuole per capire come organizzare i nuovi servizi di refezione. “L’obiettivo principale – afferma Francesco Cristiano Bignotti, assessore alle Politiche educative del Comune dell’Aquila – è stato quello di trovare soluzioni che potessero garantire la gestione del servizio di refezione tramite lo sporzionamento in loco, evitando così la vaschetta monoporzione, per continuare ad erogare un servizio di qualità alle famiglie”.

Per sostenere le famiglie meno abbienti, la Regione Liguria ha stanziato 7,8 milioni di euro, a valere sul fondo sociale europeo, per attivare tre bandi di sostegno a tre differenti settori colpiti dall’emergenza Covid-19. Tra questi, quello delle mense scolastiche. Mentre la Regione Toscana ha erogato fondi per cercare, laddove possibile, di creare degli ampliamenti degli spazi per la refezione.

Insomma, il pasto mono-porzione sembra insostenibile economicamente per i Comuni, specie quelli più piccoli. “Preparare pasti mono-porzione, singolarmente confezionati come avviene per l’ospedale, non è un’operazione che si compie normalmente nelle cucine delle mense scolastiche”, sottolinea l’assessore alla Cultura del Comune di Piacenza, Jonathan Papamarenghi. “Sappiamo già che saranno costi aggiuntivi enormi per il Comune. Questa preoccupazione è, peraltro, condivisa dalla maggior parte dei Comuni italiani toccati dal nuovo protocollo firmato ad inizio agosto dal MIUR. Speriamo che l’obbligo del pasto mono-porzione possa essere rivisto”.

Mariangela Latella

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