Vertical farming, il fallimento di Glowfarms è lo specchio di una crisi diffusa

Il baratro della disillusione sul vertical farming è iniziato. Risale a due giorni fa la notizia della cessazione di tutte le attività della vertical farm olandese Glowfarms per mancanza di fondi sufficienti.

Lo ha comunicato l’azienda con una nota ufficiale pubblicata su LinkedIn in cui si affermava: “I canali di comunicazione di Glowfarms sono rimasti in silenzio per alcuni mesi. Tuttavia, sono successe molte cose da quando abbiamo rilasciato la dichiarazione sulla costruzione della nostra prima fattoria su larga scala nei Paesi Bassi. Purtroppo, questi eventi hanno avuto un effetto negativo sul futuro dell’azienda e hanno portato Glowfarms a dover cessare tutte le sue attività. Pertanto, siamo spiacenti di comunicarvi che, dopo due anni e mezzo, Glowfarms sarà sciolta con effetto immediato”.

I problemi dell’azienda sono iniziati quest’estate con una crescente incertezza sulla produzione efficiente di colture, soprattutto a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia. Il team di Glowfarms non è più riuscito a trovare fondi sufficienti per sopravvivere a questa tempesta di mercato.

Ma la crisi parte già dall’anno scorso, con importanti defaillance di grandi aziende del settore che hanno portato Henry Gordon-Smith, uno stratega statunitense della sostenibilità che si occupa di agricoltura urbana, questioni idriche e tecnologie emergenti e che, ad oggi, ha fornito consulenza ad oltre 150 progetti di agricoltura urbana in più di 35 Paesi, a effettuare uno studio per mettere nero su bianco la sostenibilità di queste operazioni: a suo dire, presentano diverse incongruenze. Non solo tra produzione e commercializzazione, ma anche criticità logistiche e aspetti che l’esperto definisce di ‘greenwashing’.

A sostegno delle tesi di Gordon-Smith, il Censimento Globale CEA 2021 che afferma espressamente come il 70% degli operatori agricoli concordi sul fatto che la coltura in ambiente protetto sia “suscettibile di un eccessivo greenwashing” non solo per l’importante investimento iniziale e il costo degli input, ma anche per le questioni legate alla logistica, ad esempio.

Il Censimento CEA, inoltre, analizza anche i piani di crescita. Sono state molte le aziende che ne hanno annunciato di mirabolanti, in tutto il mondo; piani che però non si sono mai concretizzati. Perché? È difficile fare lo scale up delle aziende e dei team preposti che non riescono a far funzionare l’economia di fondo della CEA su larga scala. Non è che non funzionino, ma spesso hanno bisogno di più tempo di quello concesso dai capitali di rischio.

Il censimento globale CEA del 2020 (l’anno precedente) ha mostrato che “il 49% degli operatori aveva zero anni di esperienza agricola precedente e il 73% di loro sceglierebbe di cambiare le attrezzature, la tecnologia o le colture selezionate se potesse tornare indietro nel tempo”. Ma ciò non è possibile: questo tipo di aziende agricole sono tra le più costose per acro sulla Terra, e quindi l’unica strada è continuare ad andare avanti piuttosto che correggere un errore con ulteriori investimenti.

“Anche se, negli anni, le tecnologie applicate alle colture verticali, tra cui l’illuminazione, l’automazione, il controllo del clima e la lavorazione, hanno fatto progressi significativi, riducendo i costi di capitale molto elevati di questi nuovi metodi di coltivazione – dice Gordon-Smith – la costruzione di queste aziende agricole è ancora incredibilmente costosa e, sebbene la domanda sia in aumento, il settore è ancora immaturo nella sua capacità di costruire grandi aziende agricole in tempo e di rispettare i costi unitari previsti. Ciò mette in discussione la velocità con cui l’agricoltura verticale può crescere in modo responsabile, sia per numero di aziende che per dimensioni”.

Un’altra sfida è rappresentata dal fatto che, man mano che le grandi aziende CEA ricevono più denaro e sono sottoposte a pressioni per ottenere risultati migliori l’una dell’altra, diventano meno collaborative. “La condivisione dei dati – precisa Gordon-Smith – è relativamente comune nel settore CEA fino a quando le aziende agricole non raccolgono una quantità significativa di denaro, e allora diventano chiuse. Da un lato, questo serve a proteggere la proprietà intellettuale e gli interessi degli investitori, ma dall’altro soffoca l’innovazione e l’apprendimento a livello di settore. Anche le aziende che assumono decine di ingegneri ex-Tesla per reinventare l’agricoltura si troveranno di fronte a un brusco risveglio: nonostante tutti i nostri sforzi, l’agricoltura richiede semplicemente tempo. Durante questo periodo di sviluppo, l’analisi comparativa delle prestazioni rispetto agli altri e l’acquisizione di nuove conoscenze per aiutarvi a fare un salto di qualità sono fondamentali, ma mancano in gran parte alle aziende ben finanziate del settore CEA”, conclude Gordon-Smith.

Mariangela Latella
maralate@gmail.com

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