Con un peso del 3,8% sul totale delle vendite di prodotti di IV Gamma, nel 2017 il segmento del biologico ready-to-eat ha segnato un fatturato di 25 milioni di euro, in crescita del 32% rispetto all’anno precedente (dati Nielsen). Si tratta di un’ulteriore conferma della deriva salutista che sta seguendo la domanda dei prodotti ad alto contenuto di servizio, sempre più apprezzati da un target di consumatori bio, inizialmente diffidenti a tale tipologia di offerta.
“Anche dal nostro osservatorio possiamo riscontrare tale trend”, conferma a Fresh Cut News Fabrizio Piva, presidente e amministratore delegato del CCPB di Bologna, che rispondendo alla domanda sugli eventuali problemi riscontrabili nel certificare un prodotto ortofrutticolo di IV Gamma ha dichiarato: “L’ortofrutta pronta al consumo è un prodotto trasformato a tutti gli effetti e come tale va trattato, vigilando sulla corretta tracciabilità della filiera e il regolare rispetto dei metodi di produzione biologica. Per quel che concerne il processo di trasformazione, non differisce molto da quello convenzionale. Il problema maggiore è legato alla conservabilità del prodotto, che proprio per la sua natura bio deve essere manipolato con estrema cautela; sono comunque ammessi l’utilizzo di oli essenziali, purché bio, l’imballaggio in atmosfera modificata e l’uso di azoto”.
Riguardo alla concimazione dei campi con letame e liquami, il manager ricorda che nel mondo del bio sono concessi, seppur con gli stessi meccanismi di trattamento imposti per legge al prodotto convenzionale. “La IV Gamma bio – conclude Piva – deve garantire i medesimi requisiti igenico-sanitari imposti al prodotto convenzionale, rispettando i limiti di coliformi e microrganismi presenti nel prodotto”.
Insomma, si potrebbe concludere, certificazione bio sotto controllo senza particolari problemi. (c.b.)