IV e V Gamma bio, analisi e criticità: nodo prezzi, l’Italia può fare di più

Nel mercato della IV e V Gamma bio mondiale l’origine della materie prima è uno degli elementi chiave da valorizzare in etichetta. L’Italia è leader mondiale nella produzione di ortaggi bio e nell’export europeo ha pochi competitor sui mercati vicini, come quelli europei, visto che la Spagna, in questo settore, è ancora parecchio indietro.
Il canale dell’export si può rivelare strategico, dunque, per la valorizzazione di una categoria merceologica che “in casa” è ormai diventata la cenerentola del carrello. Anche perché non ha competitor neanche tra gli importatori da Paesi terzi, che importano meno di 100 tonnellate l’anno, circa 5 bilici. Praticamente nulla.
È quanto è emerso nel corso del convegno ‘Tendenze e statistiche mondiali nel settore del bio’ presentato a Biofach e curato (insieme alla relativa pubblicazione) da FiBL, uno dei più importanti istituti di ricerca sul settore biologico esistenti al mondo, ed Ecovia intelligence, centro di ricerca specializzato in consulenza e formazione per lo sviluppo sostenibile.
“Oggi la sfida principale – ha detto Helga Willer, ricercatrice di FiBL – è legata al fatto che le produzioni bio hanno prezzi molto più alti. È una sfida importante soprattutto se si considera che in questa particolare congiuntura economica, la forbice delle quotazioni tra bio e convenzionale si è assottigliata e che ci sono prodotti parimenti sostenibili, come quelli a residuo zero, ma anche quelli convenzionali, che rappresentano importanti competitor con i quali siamo costretti a misurarci proprio per il peso crescente che sta assumendo la leva prezzo nelle scelte di acquisto da parte dei consumatori. La sfida è rappresentata anche dalle etichette e dalla capacità che hanno di comunicare al consumatore il maggiore valore aggiunto di questo prodotto ad alto contenuto di servizio”.
Un’ulteriore fonte di competizione della IV Gamma bio e, in generale per il settore bio, sono le referenze plant based che stanno crescendo velocemente e che puntano a ridurre, come strada parallela che evolve insieme all’evolvere del movimento bio, il consumo di carne. “La tendenza vegana, del resto – precisa la Willer -, è uno dei driver principali di crescita degli acquisti biologici. La vera sfida è, oggi più che mai, il costo e la distribuzione e i loro impatti lungo la catena di fornitura. Perché è evidente che il valore non è distribuito equamente lungo la filiera. Il punto è come convincere i retailer ad abbracciare i valori di sostenibilità, anche di quella economica, del movimento bio e allo stesso tempo recuperare i negozi indipendenti che sono già  legati alla filiera bio i quali possono, ad esempio, diventare sezioni bio di un big retailer che potrebbe, per contro, svolgere il ruolo di centrale di acquisto per il settore organic food”.
In caso contrario “il bio e la sua sostenibilità economica, rimarranno sempre dipendenti dalle sovvenzioni pubbliche. Se si guarda al mercato, l’impatto della private label nel bio è sempre maggiore. Per questo è prioritario tirare dentro il movimento anche i retailer, anche in considerazione del fatto che non è assolutamente vero che produrre convenzionale sia meno costoso. L’unica differenza è l’impatto sull’ambiente”.
Tra gli ultimi sviluppi in questa direzione, ha aggiunto la relatrice c’è quello legato all’agricoltura rigenerativa per la quale non esiste ancora una definizione giuridica o legislativa e che sta prendendo piede in Stati Uniti, dove le produzioni bio sono in calo sia perché i produttori non ci stanno dentro con i conti e sia per problemi climatici”.
Tra i mercati di sbocco più vicini per la IV e V Gamma bio, ci sono la Svizzera che ha il maggior consumo procapite/anno di prodotti bio (418 euro secondo lo studio di FiBL ‘Il mondo dell’agricoltura bio’ edizione 2022) e la Danimarca che, per contro, in Europa, ha la maggiore quota a scaffale di bio sul totale dei generi alimentari venduti.
Per quanto riguarda i mercati più lontani, in USA e Canada IV e V gamma (non solo ready to eat ma anche e soprattutto ready to cook), sono maggiormente radicati nelle scelte di acquisto dei consumatori, ma sono condizionati dalla situazione economica attuale.
Se le vendite di alimenti biologici negli Stati Uniti sono salite a un nuovo massimo nel 2020, raggiungendo 56,5 miliardi di dollari, con il perdurare della pandemia nel 2021, molti consumatori hanno continuato a preparare più pasti a casa e alcuni sono stati più disposti a spendere di più per ingredienti più sani e ad aumentare gli acquisti di alimenti biologici.
Con il perdurare della pandemia, la crescita delle vendite bio è stata limitata dalle sfide della catena di approvvigionamento, che hanno interessato produttori, distributori, rivenditori e marchi. Inoltre, gli imballaggi scarseggiavano, così come i lavoratori e gli autisti che trasportavano i prodotti. Con l’arrivo della presidenza Biden, nel 2021, l’Organic Trade Association (OTA) ha pubblicato un promemoria per il team di transizione dell’USDA e della Casa Bianca, in cui si delineano le priorità principali e le azioni immediate che la nuova amministrazione dovrebbe intraprendere per sostenere il biologico.
Per quanto riguarda il mercato canadese, nel 2020, le vendite di alimenti e bevande biologiche  hanno raggiunto i 6,5 miliardi di dollari canadesi, circa il 33% in più rispetto al 2017. Il Canada continua a essere un importatore netto di prodotti biologici a livello globale. Le esportazioni, per contro, sono rimaste stagnanti negli ultimi anni, con i dati del 2020 che indicano esportazioni di prodotti biologici canadesi per circa 600 milioni di dollari canadesi.
Gli accordi di equivalenza biologica continuano a garantire l’accesso al mercato per importatori ed esportatori da tutto il mondo ed in particolare da USA ed Europa, ma nel 2020, il Canada ha firmato nuovi accordi di equivalenza con Taiwan e il Regno Unito, ha ampliato la portata dell’accordo con il Giappone e ha continuato le discussioni con il Messico e la Corea del Sud.
C’è ancora molto da fare per la IV e V Gamma bio nel mondo se si considera che, su scala globale, sono coltivati a verdure bio solo 422mila ettari;  le erbe aromatiche sono a 256mila ettari;  berries 66mila ettari; frutta 62mila ettari, frutta tropicale bio 292mila ettari e frutta secca appena 6mila ettari.
La quota di verdure fresche, fragole e berries bio, coltivate sul pianeta è in calo, rispettivamente, di 9mila ettari, di 2.300 ettari e di quasi 9mila ettari con quote di mercato bio sul totale, molto basse: 0.7%, 2,6% e 11,7%.
Per contro sono in forte crescita le produzioni di frutta bio da 20mila ettari in tutto il mondo, agli oltre 60mila nel 2020 con una quota di bio sul totale, però, ancora molto bassa (1.1%). In crescita anche le superfici dedicate alla frutta in guscio bio. Le sole nocciole hanno raggiunto i 750mila ettari su scala globale.
Tra le tendenze di IV Gamma in cui l’Italia rientra nel ranking dei primi 15 Paesi produttori c’è il settore della frutta tropicale bio. Nel Belpaese siamo arrivati a coltivarne quasi 10mila ettari (dati 2020) ed abbiamo una quota di bio sul totale piuttosto alta /25,5%.
L’Italia, inoltre, è il secondo Paese al mondo (dopo gli USA) con la maggiore superficie coltivata a ortaggi bio (quasi 65mila ettari) con una quota, sul totale delle verdure, del 15,7%. Sulle verdure Bio, la Spagna, al momento, non ci sta affatto alle calcagna dal momento che, secondo lo studio FiBL, ha poco più di 22mila ettari di coltivazioni certificate (peraltro in calo a causa delle gravi ripercussioni climatiche che sta subendo) ed una quota sul totale della produzione intorno al 5% circa.
Mariangela Latella
maralate@gmail.com

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