Tutti pazzi per il food-to-go che tra il 2017 e il 2018 cresce di oltre il 12% raggiungendo un giro d’affari in Italia di 1,3 miliardi di euro. I consumatori vorrebbero però etichette più comunicative soprattutto sulla filiera e sulla sostenibilità ambientale.
Lo rivela la quinta edizione dell’Osservatorio Immagino Nielsen GS1 Italy, appena pubblicato. Lo studio analizza oltre 100 variabili (ingredienti, tabelle nutrizionali, loghi e certificazioni, claim e indicazioni di consumo) registrate sulle etichette dei prodotti già digitalizzati e li incrocia con i dati Nielsen su vendite, consumi e fruizione dei media (Tv e internet). Dall’analisi emerge come il convenience food si sta imponendo su tutti i target di consumatori a testimonianza dell’evoluzione dei bisogni di consumo e dell’affermarsi di nuove tendenze, che ci accomunano al resto dei Paesi europei. Velocità, comodità e gratificazione in poco tempo sono i fattori che guidano questa crescita che registra, peraltro, un mutamento profondo sia in termini di canali di offerta che di esigenze di consumo. L’offerta si è modulata infatti non solo per il consumo fuori casa, ma anche per pranzi e cene domestiche pronti in tempi record.
Dall’analisi nutrizionale di oltre 72 mila prodotti alimentari di largo consumo confezionato, venduti in super e ipermercati di tutta Italia, si registra che, nelle categorie del food-to-go, emerge in maniera evidente un maggior apporto di calorie (+33%), di grassi (+85%) e di proteine (+47%) rispetto al meta-prodotto Immagino, ossia il prodotto tipo di riferimento.
Anche il valore delle fibre è maggiore rispetto al dato medio del food, benché vada in controtendenza rispetto ad esso, visto che nel 2018 ha registrato una diminuzione del 4,4%, determinata dal calo dei prodotti Veg. Carboidrati e zuccheri hanno una presenza minore rispetto alla media del food ma è interessante notare come siano proprio i carboidrati e gli zuccheri i nutrienti che, nel 2018, hanno registrato la maggior crescita nel food-to- go (rispettivamente +5,3% e +6,2%) principalmente per l’aumento dei consumi di primi piatti pronti, snack salati, cereali, sushi (sempre più venduti nei supermercati) e zuppe pronte.
I claim più vincenti nelle etichette del food-to-go sono quelli appartenenti al mondo del rich-in, arricchiti di vitamine, ad esempio, oppure Omega 3, ecc. (che ha generato il 16,4% del fatturato del food-to-go) e del lifestyle, ossia quelli idonei a sostenere un determinato stile di vita come, ad esempio, vegano, halal e biologico. Quest’ultimo, peraltro, insieme a responsabilità sociale (CSR) e agricoltura sostenibile, è il claim che attira di più. Tuttavia, questi claim sono ancora poco sviluppati nel settore food-to-go.
Una segnalazione: nel 2018 i prodotti che in etichetta riportavano il claim UTZ, la certificazione di agricoltura sostenibile che a inizio 2018 si è unita con Rainforest Alliance, hanno registrato un aumento delle vendite del 26,6% rispetto al 2017.
Tra i claim del ‘rich-in’ (prodotti arricchiti da…, categoria che perde smalto rispetto al 2017) i più forti sono vitamine, fibre, calcio e ferro. Per contro, ancora sono poco sviluppati ‘integrale’ e ‘Omega3’.
Miglior performance 2018 va al claim ‘100% italiano’ che ha fatto aumentare le vendite ai prodotti che lo portavano in etichetta (soprattutto primi piatti pronti, primi pronti vegetali e pizza) del 6,4% grazie ad una maggiore offerta (+5,3%) e una domanda positiva (+1,1%).
Per quanto riguarda il metodo di lavorazione (ad esempio, estratto a freddo), l’Osservatorio Immagino segnala che queste indicazioni si riscontrano solo nel 3% dei prodotti, ossia 2.138 che complessivamente hanno registrato una crescita delle vendite del 6,4% con un giro d’affari di 645 milioni di euro.
Tra le tendenze più rilevanti per il mondo dell’ortofrutta fresca, ci sono le indicazioni sulla filiera in etichetta. Informazioni che sono state usate da 55 aziende sulle quasi 1.800 analizzate e da dieci retailer per la private label.
Il mondo merceologico più coinvolto nella comunicazione on-pack dei valori di filiera è quello ortofrutticolo, che comprende sia i prodotti singoli che quelli composti, e che rappresenta il 41,8% del totale delle filiere. Nel 2018 frutta e verdura di filiera hanno generato oltre 108 milioni di euro di vendite, in crescita del 5,3% rispetto all’anno precedente. Le migliori performance sono state quelle di verdure fresche a peso imposto o surgelate, frutta conservata, cereali e zuppe. Tra i claim emergenti, il primo è ‘filiera controllata’ individuato su 345 prodotti che hanno generato vendite superiori a 125 milioni di euro (+12,3% sul 2017). Il secondo, pur molto meno diffuso, è ‘filiera certificata’, che rinforza la componente di garanzia dei requisiti facendo leva sul rispetto di precisi requisiti di sicurezza e sui controlli realizzati da organismi accreditati esterni. È stato riscontrato su 72 prodotti per un giro d’affari di 48,5 milioni di euro (+5,4% sul 2017). Più marginale l’indicazione di ‘filiera garantita’ mentre cresce l’attenzione sui claim ‘filiera corta’ e ‘km 0’, che sembrano dare maggiori garanzie in termini di freschezza, rispetto della stagionalità, qualità e tipicità, oltre all’associazione all’idea di prezzi più bassi per la mancanza/riduzione di intermediari. Si tratta però di un modello ancora distante da quello della distribuzione moderna, come conferma anche il numero esiguo di referenze accompagnate da queste indicazioni: 10 prodotti per ‘filiera corta’ e 6 a ‘km 0’. In entrambi i casi il 2018 è stato un anno piatto a livello di vendite ma sia la domanda che l’offerta sono state positive.
Mariangela Latella