di Antonio Felice
Su “La Ricchezza delle Nazioni”, Adam Smith, filosofo-economista scozzese del Settecento, spiegava che “il commercio, naturalmente e regolarmente svolto fra due luoghi qualsiasi, è sempre vantaggioso a entrambi”. Questo semplice pensiero è il nocciolo del liberismo economico che già molto prima di Smith aveva permesso per secoli agli antichi greci di essere i dominatori del Mediterraneo e che ha favorito fortemente gli Stati Uniti nell’essere i dominatori del mondo lungo gli ottant’anni seguiti alla fine della seconda guerra mondiale.
Giovedì 3 marzo Trump ha spostato indietro le lancette dell’economia e della storia a 90 anni fa, ai tempi del protezionismo americano degli Anni Trenta e subito le borse europee sono crollate e l’oro è volato alle stelle. Ma ce ne sarà per tutti. La svolta dei dazi decisa dall’amministrazione Trump avrà conseguenze sugli Stati Uniti e, direttamente o indirettamente, sulle aziende e sui cittadini di tutto il mondo. L’eccezionalità del fatto viene confermata da infiniti episodi accaduti giovedì scorso. Ne ricordiamo uno: Giorgia Meloni ha sospeso tutti i suoi impegni per pensarci sopra.
Alberto Mingardi, politologo che insegna allo IULM di Milano, scrive in una sua nota: “Gli accordi multilaterali sono lo strumento sviluppato dalla classe dirigente postbellica per assicurare le relazioni economiche fra gli Stati, sulla base di una lezione appresa negli anni Trenta: che, cioè, le cosiddette guerre commerciali possono essere lo squillo di tromba che prelude alla guerra vera e propria. Nel 1930 i maggiori dazi ridussero le importazioni (americane, ndr) del 60% e provocarono… un peggioramento delle condizioni di vita delle persone in un momento nel quale già non se la passavano granché bene. Il ricordo di queste circostanze convinse Cordell Hull (segretario di Stato americano scomparso nel 1955, ndr) a diventare negli anni Quaranta il costruttore del nuovo ordine multilaterale”.
In poche parole, Mingardi ritiene che “politicizzare gli scambi” sia estremamente pericoloso.
Vedremo che cosa succederà nelle prossime settimane e nel medio termine. Intanto alcuni commentatori si soffermano a riflettere su che cosa accadrà al dollaro. Infatti è innegabile che per i decenni seguiti al 1945 gli Stati Uniti hanno importato senza freni dall’estero anche in virtù dell’esorbitante privilegio di emettere dollari, la valuta più richiesta per i pagamenti internazionali, la moneta dominante che si è fatta largo nel mondo di pari passo con la crescita del ruolo geopolitico degli States.
Siamo davanti ad una svolta epocale. Lo sottolineano anche gli esperti dell’ISPI (l’Istituto di Studi Politici Internazionali), sostenendo che questi dazi “sono un colpo per tutti i Paesi, Stati Uniti inclusi”.
Trump è convinto del contrario. Non pochi credono che si rivedrà o che ammorbidirà la sua decisione. In Asia la preoccupazione è enorme, persino più che in Europa. E l’Asia è il continente emergente. Vedremo chi ha ragione.
Tutti dovremo fare i conti con questo scossone, inclusa la nostra economia ortofrutticola.
* managing director Gemma Editco